Informatica Legale

Accesso abusivo alla casella elettronica : un reato

L’accesso abusivo all’altrui casella di posta elettronica configura il reato di cui all’art. 615 ter cod. pen. in quanto la casella di posta elettronica è una spazio di memoria, protetto da una password personalizzata, di un sistema informatico destinato alla memorizzazione di messaggi, o di informazioni di altra natura, nell’esclusiva disponibilità del suo titolare, identificato da un account registrato presso il provider del servizio.

È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione Sezione Quinta Penale sentenza n. 13057 depositata il 31.3.2016 ( Presidente G. Lapalorcia – udienza 28.10.2015) sulla base del quale ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dal responsabile di un Ufficio di Polizia Provinciale contro la sentenza che aveva confermato la condanna per accesso abusivo alla posta elettronica di un dipendente (reato di cui all’art. 615/ter, comma secondo, n. 1, cod. pen.), nonché per aver preso visione di messaggi contenuti nella casella di posta elettronica di quest’ultimo, riqualificando il suddetto reato ai sensi dell’art. 616 cod. pen. (Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza) con condanna alla pena di mesi sei di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

Protagonista della vicenda giudiziaria è il responsabile dell’Ufficio della Polizia provinciale che, approfittando della sua qualità e dell’assenza temporanea del titolare della casella, si introdusse, in due occasioni, nel sistema di posta elettronica – protetto da password – del dipendente, operante con la qualifica di assistente nel medesimo ufficio, e, dopo aver preso visione del contenuto di numerosi documenti, aprendoli, scaricò due di essi.

Per i giudici di Palazzaccio la casella di posta elettronica rappresenta, inequivocabilmente, un “sistema informatico” rilevante ai sensi dell’art. 615/ter cod. pen. in quanto non è altro che uno spazio di memoria di un sistema informatico destinato alla memorizzazione di messaggi, o informazioni di altra natura (immagini, video, ecc.), di un soggetto identificato da un account registrato presso un provider del servizio. E l’accesso a questo “spazio di memoria” concreta, chiaramente, un accesso al sistema informatico, giacchè la casella non è altro che una porzione della complessa apparecchiatura – fisica e astratta – destinata alla memorizzazione delle informazioni. Allorché questa porzione di memoria sia protetta – come nella specie, mediante l’apposizione di una password – in modo tale da rivelare la chiara volontà dell’utente di farne uno spazio a sè riservato, ogni accesso abusivo allo stesso concreta l’elemento materiale del reato di cui all’art. 615/ter cod.

I sistemi informatici rappresentano, infatti, «un’espansione ideale dell’area di rispetto pertinente al soggetto interessato, garantita dall’art. 14 Cost. e penalmente tutelata nei suoi aspetti più essenziali e tradizionali dagli artt. 614 e 615».

Inoltre, in un sistema informatico pubblico (che serva, cioè, una Pubblica Amministrazione), quando siano attivate caselle di posta elettronica – protette da password personalizzate – a nome di uno specifico dipendente, quelle “caselle” rappresentano il domicilio informatico proprio del dipendente, sicché l’accesso abusivo alle stesse, da parte di chiunque (quindi, anche da parte del superiore gerarchico), integra il reato di cui all’art. 615/ter cod. pen., in quanto l’apposizione dello sbarramento – avvenuto col consenso del titolare del sistema – dimostra che a quella “casella” è collegato uno ius excludendi, di cui anche i superiori devono tenere conto. Dimostra anche che la casella rappresenta uno “spazio” a disposizione – in via esclusiva – della persona, sicché la sua invasione costituisce, al contempo, lesione della riservatezza.

Da ultimo per l’imputato è stato inutile lamentare l’erronea applicazione dell’aggravante dell’abuso di potere prevista dagli artt. 61, n. 9 e  615 ter comma secondo, n. 1, cod. pen..

La Corte di Cassazione sul punto ha, infatti, precisato, richiamando la consolidata giurisprudenza che “l’aggravante di aver commesso il fatto con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio non presuppone necessariamente che il reato sia commesso in relazione al compimento di atti rientranti nella sfera di competenza del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, ne’ l’attualità dell’esercizio della funzione o del servizio, ma è configurabile anche quando il pubblico ufficiale abbia agito al di fuori dell’ambito delle sue funzioni, essendo sufficiente che la sua qualità abbia reso possibile o comunque facilitato la commissione del reato”.

Rientra nelle modalità di azione stabilite dalla norma il comportamento dell’imputato che si servì, per accedere alla casella di posta elettronica del dipendente, di una password “generale” – che gli consentì di entrare in rete – e si avvalse della posizione di sovra ordinazione – in cui si trovava rispetto al dipendente – per allontanarlo dall’ufficio ed effettuare le operazioni che gli premevano.

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Fonte: Corte di Cassazione Sez. V Penale sentenza n. 13057 depositata il 31.3.2016 (Presidente G. Lapalorcia – udienza 28.10.2015)
Enrico Michetti

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