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Su internet sta diventando tutto fake?

Su internet sta diventando tutto fake?
Scritto da gestore

Su internet sta diventando tutto fake?

Non solo fake news, ma anche profili falsi, intelligenze artificiali solo all’apparenza, dati opachi. La battaglia per l’autenticità in rete

Vi state ancora preoccupando per l’impatto delle fake news? Se la risposta è positiva, allora ci sono cattive notizie: su internet, prolifera la finzione. L’ultima dimostrazione si è avuta lo scorso novembre, quando – come riporta il New York Magazine – otto persone sono state arrestate con l’accusa di aver condotto due truffe pubblicitarie per un valore di 36 milioni di dollari.

“Sul digitale, i pubblicitari tendono a volere due cose: persone che vedono i loro annunci e siti ‘premium’ (vale a dire testate consolidate e che godono di buona reputazione) sulle quali fare apparire le loro pubblicità”, scrive Max Read. La truffa è riuscita nell’impresa di far credere alle agenzie di aver ottenute entrambe: gli hacker avevano infettato 1,7 milioni di computer in modo da portare traffico fasullo su precisi siti civetta (pagine web prive di contenuto, che non hanno altro scopo se non quello di ospitare pubblicità), progettati anche per far credere ai pubblicitari che si trattasse degli ambiti siti premium.

In poche parole, erano finti sia i siti che le visualizzazioni. A essere vera, era solo la pubblicità. Niente di nuovo. Si stima che il 40% di tutto il traffico generato su internet sia fake. Una percentuale che in alcuni periodi dell’anno supera la metà abbondante. La situazione raggiunge vette paradossali. Per un certo lasso di tempo, gli impiegati di YouTube (dove molte visualizzazioni sono generate da bot usati per gonfiare gli introiti della pubblicità) hanno temuto che la quota di utenti-bot fosse talmente elevata da fuorviare il sistema che dovrebbe scovarli, portandolo a considerare fasullo il traffico degli utenti umani (un fenomeno chiamato “l’inversione”).

Non è solo YouTube a vivere in un mondo digitale in cui distinguere la realtà dalla menzogna è sempre più difficile. Lo stesso Facebook ha ricevuto nel corso degli anni una marea di accuse: di aver riportato in maniera poco trasparente la reach (il numero di persone raggiunte) delle varie pagine di Facebook, di aver sovrastimato il tempo speso dagli utenti che guardano i video e anche il tempo trascorso leggendo i famigerati instant articles. Non soltanto utenti e visualizzazioni, quindi: su internet anche il tempo diventa fake.

In un cortocircuito che fa apparire la realtà di internet simile a un’opera di Philip K. Dick, in alcuni casi sono invece gli umani a fingere di essere dei bot. L’esempio più palese è quello dei chatbot: i sistemi di intelligenza artificiale con i quali è possibile dialogare per via testuale. Essendo la loro evoluzione ancora alle prime fasi, spesso i bot non capiscono le nostre domande. In questi casi interviene dietro le quinte un operatore umano, che si fa carico delle richieste senza dichiarare la sua natura in carne e ossa. Facendoci così credere di essere alle prese con un’intelligenza artificiale super-evoluta. È una legge del contrappasso del tutto particolare: in attesa che le intelligenze artificiali raggiungano il livello degli esseri umani, sono gli esseri umani a fingere di essere intelligenze artificiali.

Non basta? E allora cosa dovremmo pensare di Lil Miquela, l’influencer di Instagram (in copertina sul secondo numero di Wired del 2018) che, forte del suo milione di follower, sponsorizza marchi come Prada o Moncler, ma che in realtà non esiste? Lil Miquela vive solo su Instagram in computer grafica; eppure ha una sua storia, un’età (20 anni), anche delle posizioni politiche. Soprattutto, la sua capacità di svolgere il lavoro di influencer è paragonabile a quella di tante altre emule di Chiara Ferragni. L’unica cosa che resta da capire è quanti dei suoi follower siano fake, visto quanto è diffuso il fenomeno di acquistare finti seguaci su Instagram.

Nel caso di Lil Miquela, almeno, la sua essenza artificiale è apertamente dichiarata ed è anche parte del fascino che esercita su follower e brand di moda. Lo stesso non si può dire dell’algoritmo creato da un utente di Reddit, noto come Deepfake, che permette di creare video in cui il volto di chiunque può essere sostituito. Il primo utilizzo di questo strumento è stata la diffusione di porno in cui le attrici avevano il viso di celebrità come Gal Gadot, la protagonista di Wonder Woman. Ma se sono bastate le fake news per scatenare il panico, cosa succederà quando questa tecnologia verrà usata a fini elettorali e in rete circoleranno video finti in cui politici veri vengono piazzati nelle situazioni più imbarazzanti o dicono cose che non hanno mai nemmeno pensato?

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Per avere un’idea, basta guardare il video di qui sopra con protagonista Barack Obama: “Potrei dire cose come ‘Killmonger aveva ragione’. Oppure che il presidente Trump è un completo stronzo”, afferma l’ex presidente usando la sua voce e muovendo inequivocabilmente le labbra in sincrono con quanto sta dicendo. E invece, è tutto finto. Politici come Obama o Vladimir Putin appaiono sul web, nei video di YouTube, con la loro voce, ma sono in realtà dei fake, prodotti utilizzando algoritmi di machine learning in grado di riprodurre la voce di chiunque e ricreare il movimento delle labbra. Dopodiché, sovrappongono tutto ciò a una qualunque apparizione video del politico in questione.

Non ci si può fidare di nulla, online. Tutto può essere fake. E in una percentuale inquietante dei casi è effettivamente fake. Ma almeno noi siamo veri? Noi utenti in carne e ossa di internet? Di sicuro, il nostro essere reali non viene dato per scontato. Ormai, viviamo in un mondo in cui, ogni singolo giorno, ci viene chiesto di confermare di “non essere dei robot”(utilizzando i malefici captcha code). E con questo, l’inversione è completa. Non sono più solo i bot a dover fingere di essere delle persone, ma sono le persone che devono dimostrare di non essere dei robot. Se sognavate di vivere in un mondo cyberpunk, potete rallegrarvi: ce l’avete proprio davanti agli occhi.

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