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Postare foto dei bambini? Un danno a loro insaputa

Si chiama sharenting l’attività più diffusa tra i genitori che amano i social network ed è l’abuso di post, foto e video per «discutere delle esistenze ed esigenze dei propri figli, spesso piccolissimi ai soli fini esibizionistici» come sintetizzato senza mediazione alcuna in “Nasci, cresci e posta. I social network sono pieni di bambini: chi li protegge?” edito da Città Nuova, scritto dal giornalista esperto di tecnologie Simone Cosimi e dallo psicanalista Alberto Rossetti. Si tratta di una abitudine che, secondo i due, sarebbe bene evitare, interrompere e mai iniziare perché ha serie ricadute negative sulla vita dei diretti interessati e un giorno neanche troppo lontano, i bulimici genitori potranno finire dritto in Tribunale.

 

Anzi qualcuno si trova già in queste pastoie. Nel 2016 una diciottenne austriaca ha denunciato i genitori per aver pubblicato su Facebook, nel corso degli anni, centinaia di sue foto che la ritraevano bambina, senza averla mai consultata sul tema, ha chiesto al padre e alla madre di eliminarle e non avendo ricevuto supporto si è rivolta a un avvocato e ha intentato una causa: «Aveva avuto contezza delle immagini pubblicate intorno ai 14 anni, quando anche lei è sbarcata nel magico mondo del social blu». Anche in Italia vantiamo un precedente. Nel 2013 il tribunale di Livorno ordinava a una mamma di cancellare tutte le foto della figlia minore dalla sua pagina Facebook sulla base arrivano del testo unico sulla privacy (d.lgs. n. 196 del 2003) che all’articolo 2313 prevede il trattamento dei dati personali col solo consenso dell’interessato e sanziona la violazione con la reclusione fino a due anni.

 

Hanno ragione i figli? Sì, secondo lo psicanalista Rossetti: «I bambini, una volta cresciuti e alle prese con la propria rete sociale, su quelle piattaforme, si ritroveranno dotati di un fardello di contenuti digitali impropriamente pubblicati nel corso degli anni dai genitori. Senza, ovviamente, che il soggetto più importante della relazione – il bambino – avesse alcuna possibilità di dire la sua». Su “Nasci, cresci e posta” si legge: «Secondo uno studio britannico circa un migliaio di foto per ogni bambino finiscono online prima che questi compia 5 anni. I genitori ne pubblicano quasi 200 ogni anno». Più recentemente il garante italiano per la privacy Antonello Soro è tornato sul punto con una sentenza definitiva: «La pedopornografia in rete e, particolarmente nel dark web, sarebbe in crescita vertiginosa: nel 2016 due milioni le immagini censite, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. Fonte involontaria sarebbero i social network in cui genitori postano le immagini dei figli». Soluzione consigliata? «Ovviamente pubblicare meno immagini possibili, nascondendo sempre il volto per schivare rischi».

 

E quando invece i figli iniziano il loro personale viaggio nel web? Sarebbe opportuno che i genitori conoscessero alcune fondamentali regole, suggeriscono i due autori, cominciando dall’età minima per creare un account su Facebook e su Instagram, come anche sui giochi come Clash Royal. Ovvero 13 anni. Rossetti è categorico: «Il limite dei 13 anni è nato per tutelare i bambini e se non si fa rispettare il messaggio che arriva è che nel mondo dei social si può, anzi si deve, mentire. Sotto i 10 anni, poi, i rischi si moltiplicano, i bambini rischiano di condividere proprie informazioni sensibili o parlare con sconosciuti». Non fa a eccezione Musical.ly, il social più amato dagli under 15, una sorta di karaoke muto dove gli utenti, giunti quest’anno a 100 milioni, possono improvvisare performance di playback mimando il labiale.

 

E per gli adolescenti? Risponde lo psicanalista: «Va trovato un equilibrio tra la spinta sociale, che vorrebbe tutti online, e il rispetto dei tempi del ragazzo. Non è che dopo i 13 anni sia tutto risolto, però i ragazzi sono sempre più capaci di autoregolarsi e i l’identità comincia ad avere una base più solida». Chiosa Cosimi: «Le piattaforme fanno però molto meno di ciò che potrebbero e dovrebbero per impedire ai minori di quell’età, d’altronde abilissimi a mentire, di iscriversi. Dunque il controllo di fatto sta ai genitori. Un margine di mediazione sulla soglia minima può esserci solo a patto che il canale sia aperto e trasparente, i social network diventino un tema conversazione: quali nuove richieste di amicizia sono arrivate, quali contenuti l’hanno colpito di più, come ritiene che i suoi amici o compagni di classe usino quel mezzo».

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