Condominio e Web Privacy

Interferenze illecite nella vita privata e violazione della privacy tra vicini di casa: come quantificare il danno?

l Tribunale di Catania, con sentenza del 31.01.2018, riconosce il risarcimento del danno in sede civile per la lesione della sfera personale del condomino illecitamente inquadrato con telecamere installate dal vicino di casa, ma non c’è reato.

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Principio cardine del Tribunale di Catania è che quando un sistema di videosorveglianza installato da un privato – con o senza registrazione di immagini – viola il domicilio altrui andando a inquadrare non solo gli spazi di propria esclusiva pertinenza (ad esempio quelli immediatamente antistanti l’accesso alla propria abitazione), ma anche quelli relativi a aree comuni (cortili pianerottoli, scale, garage comuni) o antistanti l’abitazione di altri condomini (cfr., nel dettaglio, delibera Garante Privacy 8/04/2010), tale comportamento potrà ascriversi a illecito civile, inquadrato come danno non patrimoniale ingiusto (cfr art. 2056 c.c.).

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Le telecamere installate dal vicino convenuto in giudizio, infatti, non si limitavano a inquadrare <<la scivola del garage di proprietà del convenuto, ma anche l’ingresso e le finestre del bagno e della cucina di proprietà dell’attore situate ed affaccianti il muro perimetrale della suddetta scivola>>, con ciò ledendo – anche solo potenzialmente – la privacy del soggetto ripreso (vedi già Cass. Civ. n. 12139/15).

Nella sentenza in commento viene messo in rilievo che il convenuto nel momento in cui si è determinato a installare delle telecamere a ripresa anche di luoghi altrui <<neppure ha ritenuto di dar conto di … (OMISSIS) alcuna valutazione di proporzionalità tra i diritti in gioco>>.

Il giudice catanese osserva infatti che il convento non ha allegato né provato di avere minimamente tenuto in conto i dettami del Garante Privacy secondo cui, in sintesi, un sistema di videosorveglianza può essere installato se il suo utilizzo, non sia sproporzionato rispetto a tutte le altre misure già adottate o da adottare (ad esempio: <<sistemi comuni di allarme, blindatura o protezione rinforzata di porte e portoni, cancelli automatici, abilitazione degli accessi>>, ecc., ecc.).

Occorre evidenziare il duplice punto di vista prospettato dal Giudice catanese.

Da un lato, nell’ottica penalistica, il semplice inquadramento dell’ingresso e delle finestre del bagno e della cucina di proprietà dell’attore, rientrerebbe nella <<consolidata affermazione secondo cui non sono punibili (e non possono, pertanto, dar luogo ad alcun correlativo risarcimento) “le videoriprese aventi ad oggetto comportamenti tenuti in spazi di pertinenza della abitazione di taluno ma di fatto non protetti dalla vista degli estranei, giacché per questa ragione tali spazi sono assimilabili a luoghi esposti al pubblico, la percettibilità all’esterno dei comportamenti in essi tenuti facendo venir meno le ragioni della tutela domiciliare”>>.

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Diversamente, in ambito civile afferma che <<nel caso delle riprese visive, il limite costituzionale del rispetto dell’inviolabilità del domicilio viene in rilievo …(OMISSIS)… non tanto – o non solo – come difesa rispetto ad una intrusione di tipo fisico; quanto piuttosto come presidio di un’intangibile sfera di riservatezza, che può essere lesa – attraverso l’uso di strumenti tecnici – anche senza la necessità di un’intrusione fisica>>.

Certo è che anche penalmente, la sola considerazione che la finestra sia non nascosta alla vista di estranei non impedisce (elemento non affrontato nel giudizio), che attraverso un dispositivo ottico puntato in maniera continuativa verso quella finestra e, ad esempio, datato di zoom, si possano andare a carpire immagini di quel che succede all’interno del bagno stesso, cosa ovviamente impossibile per l’occhio nudo dell’estraneo passante.

La sentenza in commento prosegue affermando che il giudice potrà liquidare il danno da lesione della riservatezza anche in via equitativa. Se il richiedente però, come nel caso in commento, non è in grado di allegare una benché minima prova dell’effettivo pregiudizio sofferto <<la quantificazione equitativa di detto danno ingiusto non potrà che essere tuttavia contenuta entro termini minimi>>.

Tale quantificazione minima risponde agli ultimi orientamenti della giurisprudenza di legittimità che hanno riconosciuto, anche all’istituto del risarcimento civile, una valenza sanzionatoria nei confronti di colui che commette l’illecito.

Non è infatti <<logicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi>> – che riprende la pronuncia della Cassazione SS.UU. 16601/2017 – ma, secondo il Tribunale in questione, non vi è luogo per un risarcimento vero e proprio di concreti pregiudizi di cui, nel loro storico accadere, non si è avuta alcuna contezza.

Il danno in re ipsa, dunque, uscito dalla porta principale, rientra di soppiatto dalla finestra.

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Fonte http://www.condominioweb.com/violazione-illecite-vita-privata.14799#ixzz5EG1QMrBx
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